Una piccola parola per l’uomo, un grande passo per l’inclusività: l’uso di un linguaggio inclusivo è un tema di cui si sta discutendo sempre più e che negli ultimi anni ha assunto sempre più spessore. Diverse agenzie di comunicazione e molti content creator hanno pian piano iniziato ad adattarsi a quella che sembra una nuova necessità per il pubblico. Ma cosa si intende esattamente per Linguaggio inclusivo?
Cos’è l’inclusività?
Ogni persona vuole sentirsi accettata e valorizzata e, inclusività significa proprio questo: avere considerazione di chi ci circonda, riconoscerci come persone e non discriminarci, indipendentemente da identità di genere, disabilità, orientamento sessuale e altre caratteristiche personali. La necessità di utilizzare un linguaggio inclusivo non è un dibattito moderno, sono decenni che le associazioni si battono per l’utilizzo di una comunicazione che possa essere in grado di comprendere tutti. Tuttavia è un tema rimasto dormiente per troppo tempo ma che oggi finalmente ha iniziato ad occupare una grossa fetta dei dibattiti sociali. Ovviamente, così come qualsiasi discussione ha portato con sé sia un ampio pubblico propenso all’evoluzione, sia una parte sfavorevole. Cerchiamo di comprenderne le motivazioni.
Da dove nasce il pensiero sfavorevole?
Molto spesso i pareri ostili circa il linguaggio inclusivo sono frutto di una distorsione della verità. Si è abituati, infatti, a pensare che l’inclusività sia solo un dibattito sulla femminilizzazione dei termini e l’utilizzo della schwa o dell’asterisco per le persone non-binary.
Vengono spesso mosse critiche all’utilizzo della comunicazione inclusiva perché considerato un capriccio degli attivisti, una moda del momento o una trovata di marketing. Per molti esistono sono problemi più “seri” a cui pensare, quindi, per questa parte di pubblico il cambiamento è una forzatura, una violenza nei confronti della nostra lingua. Per questa fetta di pubblico sarebbe meglio utilizzare l’italiano nella sua forma più arcaica. Il pensiero che alle donne non interessi essere chiamate al femminile e che il maschile sovraesteso sia l’unica soluzione per l’inclusione totale è un modo semplicistico e superficiale di affrontare la questione.
Ma davvero il linguaggio inclusivo è solo questo?
L’utilizzo delle parole al femminile è solo la punta dell’iceberg quando si parla di linguaggio inclusivo. Si dovrebbe iniziare a includere anche altre categorie: ad esempio, pensando alla creazione di contenuti parlati, come facciamo ad includere anche le persone sorde, o al contrario, come possiamo includere le persone cieche? Esiste chi ha iniziato a proporre soluzioni, ragionando sulla questione, mentre altre persone avranno pensato di non fare abilismo e di non fare discriminazione di alcun tipo. Eppure a questi ultimi verrebbe da chiedere se abbiano mai utilizzato inglesismi con i propri genitori, ad esempio; se termini come “decluttering”, “deadline”, “engagement” siano compresi pienamente dall’altra parte. Bisognerebbe iniziare a comprendere che anche questo tipo di comunicazione non è inclusiva.
Quindi cosa possiamo fare sul tema del linguaggio inclusivo?
Ovviamente non è un’evoluzione che può avvenire dall’oggi al domani, dopotutto le associazioni ne parlano da decenni. Ma abbiamo sentito parlare spesso della forza racchiusa nelle parole. In fondo esiste un vecchio detto che recita “Ne uccide più la lingua che la spada”, che deriva dal latino ““multo quam ferrum lingua atrocior ferit”, a dimostrazione del fatto che sono secoli che l’essere umano è consapevole di quanto le parole possano ferire. E allora perché non evolverci e fare in modo che un linguaggio più inclusivo permetta di non ferire il prossimo? La soluzione, per quanto possa apparire banale, è pensare prima di parlare, di comunicare. Sarà più semplice intuire l’utilità dei sottotitoli o del doppiaggio nei nostri contenuti e cercare di spiegare ai nostri genitori cosa significa “ageismo”, ad esempio!
Smettiamola di pensare al linguaggio inclusivo come una moda del momento, perché dovrebbe essere un problema su cui lavorare insieme. Entriamo nell’ottica che non è un cambiamento semplice, a tutte le persone capita e capiterà di fare errori, dobbiamo solo esserne consapevoli e migliorarci.
Ed è anche vero che la linguistica è una scienza, e come tale dovrebbe potersi evolvere: smettiamola di guidare le macchine elettriche chiedendoci perché il primo maggio dovrebbe essere la festa del lavoro e non la festa dei lavoratori.
Pensiamoci e proviamoci, potremmo rendere felici le persone che ci circondano.
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